GAT - Gruppo Astronomico Tradatese

Per scaricare l'immagine più grande (313 Kb) clicca sull'immagine

ALH84001: batteri fossili da Marte?

Facciamo il punto sull'appassionante dibattito scatenato, un anno fa, dal clamoroso annuncio della presunta presenza di tracce fossili di vita marziana in un meteorite antartico.
di Cesare Guaita
Sommario:

Introduzione

Dal 1978 Roberta Score si occupa di meteroriti presso il Johnson Space Center (JSC) della NASA ad Houston e, in particolare di meteroriti provenienti dall'Antartide (da 25 anni un autentico paradiso per i cercatori di rocce cosmiche). Dopo alcuni anni di semplice attivita' di laboratorio (suo compito era quello di analizzare rocce cosmiche inviate al JSC da esploratori antartici), decise, nel 1984 di provare lei stessa questa esperienza 'sul campo', Si uni'cosi'al cosiddetto ANSMET (Antartic Search for Meteorites), un team di volontari che effettua ogni anno, in occasione dell'estate australe, regolari spedizioni in Antartide alla ricerca di meteoriti, sotto l'egida della Natinal Space Foundation. " La mia prima spedizione- ricorda- risale appunto al Dicembre 1984 e sara' ben difficile che la possa dimenticare. Da quasi un mese il nostro gruppo di 7 persone lavorava ai piedi delle colline di Allan Hill ed i risultati fino ad allora raggiunti erano stati eccellenti: basti dire che il nostro bottino superava ormai i 100 nuovi esemplari di meteoriti." Ovvio, che in questa situazione un meteorite in piu' o in meno non poteva di certo suscitare particolari entusiasmi. Ma - racconta sempre Roberta Score- lo spettacolo che si apri' ai nostri occhi quel mezzogiorno del 27 Dicembre'84 era davvero speciale: ci trovammo infatti di fronte ad un incredibile sistema di guglie e colline alte alcuni metri che il gelido vento antartico aveva scolpito nel ghiaccio con un processo non dissimile a quanto succede nei deserti di sabbia. Lo spettacolo era tanto affascinante che ci fermammo un'ora ad esplorare la zona: fu in questa occasione che i miei occhi cascarono su una roccia completamente diversa da tutte quelle che avevamo raccolto finora.
Figura 1
Ci fu vita su Marte? L'acceso dibattito che si è aperto con la presunta scoperta dei microorganismi fossili in ALH84001, un meteorite di origine marziana, potrà forse avere una risposta definitiva solo dopo che una navicella automatica riuscirà a riportare a Terra campioni di terreno del pianeta rosso. La Mars Pathfinder, la scorsa estate, è stata l'"apripista", come dice il suo nome, per una serie di missioni che hanno proprio questo obiettivo. Nell'immagine sopra il titolo dell'articolo vediamo il panorama completo di cui la Pathfinder godeva, fotografato dal suo sistema di ripresa stereo.
ALH84001 è un meteorite che ha fatto un lungo viaggio: da Marte al polo sud della Terra. La figura 1 mostra ALH84001 come si presentava nel dicembre 1984, al momento del ritrovamento in Antartide. Le dimensioni erano 17x9.5x6.5 cm per un peso di circa 2 kg.
Immagine più grande: 36 Kb
Figura 2
L'interno di ALH84001, dopo che la meteorite marziana venne sezionata al Johnson Space Center della NASA. Un fitto intreccio di fratture attraversa tutta la massa.
Immagine più grande: 33 Kb
Il meteorite (Fig. 1 e Fig. 2: il meteorite intero e sezionato) infatti aveva una strana colorazione verde brillante ben diversa dalla colorazione scura tipica della maggior parte di questi oggetti, insomma sembrava qualcosa di veramente unico nel suo genere." Per questo fu anche il primo(001), tra quelli raccolti al Allan Hill (ALH) nel 1984 (84) ad essere studiato una volta arrivato nei laboratori di Houston: da qui la denominazione di ALH84001. Fu subito chiaro che ALH84001 apparteneva alla rara classe delle meteoriti basaltiche, cosiddette in quanto costituite da rocce di natura lavica. Come tali devono essersi staccate da corpi originari sufficientemente massicci da aver subito una opportuna differenziazione (la matrice principale di ALH84001 e'ortopirosseno). David W.Mittlefehdt era uno dei maggiori esperti di questo tipo di rocce presso il Centro di Houston: per questo fu lui ad occuparsene per primo. Subito l'eta' del meteorite (dedotta con molti metodi indipendenti tra cui, soprattutto, quella classica del Rubidio/Stronzio) risulto' molto antica e prossima a 4,5 miliardi di anni. Per questo David W. Mittlefehldt lo classifico' inizialmente come una Diogenite, un tipo di meteoriti per le quali sembra accertata la provenienza dall'asteroide Vesta. Ma i dubbi non erano pochi. Intanto un 5% del volume di ALH84001 era costituito da carbonati, sostanze normalmente sconosciute nelle diogeniti: nessuno, pero', allora (si era alla fine del 1988) poteva imaginare che si trattase di materiale originario e cosi' prevalse l'idea di un inquinamento terrestre durante la permanenza della roccia nei ghiacci antartici. La svolta venne nella primavera del 1990 quando il laboratorio di Houston si equipaggio' di una microsonda elettronica in grado di effettuare analisi su porzioni molto piccole (e per questo assolutamente SPECIFICHE) di materiale meteorico. Con questo nuovo rivoluzionario strumento analitico Mittlefehldt scopri' ed analizzo', all'interno di ALH84001, singoli granuli di CROMITE, un normale ossido di Ferro e Cromo ben noto anche nelle diogeniti classiche di provenienza antartica (una di esse, EETA79002, era stata studiata da Mittlefehldt per anni). Ma il caso di ALH84001 apparve subito anomalo: era infatti presente del Ferro altamente ossidato (Fe 3+), il che era improponibile per un ambiente esente da ossigeno come quello (forse l'asteroide Vesta) da cui deriverebbero le Diogeniti (addirittura, in esse, una parte del Ferro e' normalmente presente allo stato metallico elementare). Questa incoerenza chimica era cosi' profonda da costringere l'editore della famosa rivista METEORITICS a rifiutare a Mittlefehldt, nella primavera del 1993, un lavoro sull'origine di ALH84001. L'autore, costretto da questo 'incidente' ad approfondire ulteriormente i propri studi, arrivo', nell'Ottobre del 1993, ad una scoperta clamorosa. Questa volta l'indagine venne diretta sui composti di Ferro e Zolfo denominati SOLFURI. Era ben noto (per ragioni analoghe a quelle descritte nel caso delle cromiti) che nelle diogeniti il solfuro di Ferro era presente ad un basso stato di ossidazione (leggi: Ferro monosolfuro FeS). Invece ALH84001 conteneva SOLO solfuro di Ferro ad alto grado di ossidazione (leggi Ferro disolfuro FeS2). Una caratteristica, questa, estremamente specifica di un'altra rarissima classe di meteoriti basaltiche, le cosiddette SNC di provenienza marziana (l'acronimo deriva dalle citta' di Shergotty, Nakhla e Shassigny dovo sono stati trovati i primi tre esemplari). Fino all'inizio degli anni 70 si conoscevano solo 6 rocce SNC senza che nulla si sapesse della loro provenienza. Unico dato certo, ed apparentemente imcomprensibile, era l'eta' incredibilmente giovane di questi meteoriti: in base al metodo Rubidio/Stronzio circa 1,4 miliardi di anni, contro una media di 4,5 milardi di anni per tutti gli altri meteoriti. Poi con l'inizio delle campagne antartiche (che in 25 anni hanno fornito piu' di 10.000 nuove meteoriti) il loro numero si e' velocemente raddoppiato: piu' precisamente sono state acquisite 6 Shergottiti, caratterizzate dalla presenza, all'interno della matrice basaltica, di inclusioni vetrose derivanti dalla fusione da impatto e successiva repentina risolidificazine di alcuni dei mimerali presenti (tipica e' il caso del plegioclasio che si ritrova in parte trasformato in MASKELINITE). L'eta' in cui si formarono le inclusioni vetrose (determinata col metodo della radiocoppia Rubidio/Stronzio) risulta sempre enormemente inferiore all'eta' tipica del meteorite.
Figura 3
L'interno di EETA79001, un'altra famosa meteorite marziana ritrovata in Antartide. Le formazioni scure sono inclusioni di materiale vetroso all'interno delle quali sono state rintracciate bolle di gas identiche, sia nella composizione che nei rapporti isotopici, con quanto riscontrato dalle sonde Viking nell'atmosfera marziana.
Immagine più grande: 43 Kb
Proprio la presenza di queste inclusioni vetrose ha permesso di accertare la provenienza marziana delle Shergottiti (Fig3: EETA79001 sezionata) in esse infatti sono state rintracciate miscele gassose identiche sia in composizione sia per quanto riguarda i rapporti isotopici, a quanto misurato dai Viking nell'atmosfera marziana (in particolare e'risultato decisivo costatare, per l'Azoto gassoso e per le tracce d'acqua, il tipico arrichimento marziano in Azoto15 e in Deuterio) (vedi articolo pubblicato sul N.59 di questa rivista, Ottobre 1986).
Anche nel caso di ALH84001, l'origine marziana sembra ormai indiscutibile sia in base a considerazioni chimiche (abbiamo discusso poco fa' la presenza di Ferro ad alto grado di ossidazione) che isotopiche (di grande effetto, durante il 28° Congresso di Scienze Lunari e Planetarie tenutosi nel Marzo'97 a Houston, la comunicazione, da parte del gruppo di G.Lyon, della misura in ALH84001 di un rapporto Xeno129/Xeno132=2,4, quindi identico a quello dell'atmosfera marziana).
Due caratteristiche, pero', differenziano ALH84001 da tutte le altre meteoriti marziane: la prima e' la gia' ricordata eta' di 4,5 miliardi di anni (questa roccia, quindi, proviene dalla crosta marziana piu' antica, verosimilmente quella dell'emisfero meridionale dove sono assenti grandi edifici vulcanici geologicamente giovani).
Figura 4
Sezione sottile di ALH84001 vista al microscopio. E' evidentissimo  il complesso sistema di fratture che ne caratterizzano l'intera massa. I grani scuri indicano la presenza di un tipo di cromite ( un ossido di Ferro e Cromo) ad alto grado di ossidazione, normalmente presente nelle meteoriti basaltiche di provenienza marziana.
Immagine più grande: 100 Kb
La seconda e' la presenza 'massiccia' di carbonati (attorno al 5%) infiltratisi in un complesso sistema di fratture (Fig.4: sezione di ALH84001 con fratture) prodottesi in conseguenza di un impatto meteorico avvenuto 4 miliardi di anni fa. La corretta datazione di questo evento e' stata determinata da un accurato studio del team di R.D. Ash (Universita' di Manchester) effettuato col metodo del Potassio/Argo sulla maskelinite vetrosa che si dovrebbe essere prodotta proprio in conseguenza di questo impatto. Indipendentemente dal meccanismo, l'eta'di deposizione dei carbonati rimane piuttosto controversa, collocandosi, in funzione del metodo di datazione usato, tra 3,6 (McKay ed altri col metodo del Potassio/Argo) e 1,4 miliardi di anni fa (M.Wadhwa e G.Lugmair dal rapporto Rubidio87/Stronzio87).
Il distacco di ALH 84001 da Marte e' invece avvenuto molto piu' di recente, precisamente 17 milioni di anni fa, in conseguenza di un ennesimo violento impatto meteorico che l'ha proiettato nello spazio. Gli studi piu' aggiornati al riguardo sono quelli di J.Goswann e C.Clemett (28° Congresso di Scienze lunari e planetarie tenutosi ad Houston nel marzo 1997) basati sulla misura delle tracce lineari e delle piccole quantita' di gas nobili (Neo,Argo) prodotti dall'interazione col materiale del meteorite dei protoni ad alta energia della radiazione cosmica. Andare a rintracciare su Marte il cratere formatosi all'atto dell'espulsione di ALH4001 potrebbe sembrare la classica ricerca dell'ago nel pagliaio'. Questo non ha pero' spaventato Nadine Barlow, una studentessa dell'Universta' dell'Arizona che, in un anno di lavoro, ha passato in rassegna qualcosa come 42283 crateri marziani. I criteri per tentare la corretta selezione sono stati fondamentalmente tre: il cratere doveva essere di forma allungata, ovvero prodotto da un urto a forte inclinazione (secondo uno studio classico di L.Nyquist solo cosi' i frammenti acquistano sufficiente energia di fuga), situato su un terreno anticamente ricco d'acqua (probabile fonte delle inclusioni di carbonati) e geologicamente molto antico (ALH84001 ha infatti 4,5 miliardi di anni). N.Barlow si e'vista quindi costretta a focalizzare l'attenzione sull'emisfero Sud di Marte (quello privo di grandi complessi vulcanici) dove ha reperito due candidati: un cratere di 11x9 Km in Hesperia Planitia (12*S e 243°Ovest) e un cratere di 23x15 km in Sinus Sabeus (14°S e 343,5°Ovest) (Fig. 5: il cratere marziano da cui si sarebbe staccato ALH84001).
Figura 5
(sopra) Il cratere di 11,3x9 Km in Hesperia Planitia (12°S e 243° Ovest) e' uno dei possibili i punti di impatto  da cui si sarebbe staccata ALH84001 17 milioni di anni fa . La ricerca, condotta da Nadine Barlow (Universita' dell'Arizona) su 42.283 crateri dell'emisfero sud marziano, ha fornito solo un altro candidato oltre a questo (sotto: zona di Sinus Sabenus, 14°S e 343°,5 Ovest).
Immagine più grande: 71 Kb
Dopo la citata lunga permanenza nello spazio, la roccia e' cascata in Antartide 13.000 anni fa, laddove le bassissime temperature unite al clima secco ed all'ambiente quasi sterile ne hanno permesso una conservazione ottimale fino al momento della scoperta.
Il 7 Agosto '96, nel corso di una ormai famosa conferenza stampa tenutasi a Houston, un gruppo di 9 ricercatori di cinque diversi Instituti, guidati da David McKay (NASA Johnson Space Center) ha presentato uno studio multidisciplinare condotto per due anni sui carbonati presenti in ALH84001, dal quale si arriverebbe alla clamorosa conclusione della presenza di tracce fossili di batteri marziani primordiali. Proprio perche' multidisciplinare, il lavoro e' un assieme affascinante di risultati scientifici che vanno dalla chimica organica, alla chimica inorganica, alla biologia, alla geologia, alla paleontologia.
Il primo passo e' stato condotto da due chimici analitici dell'Universita'di Stanford(S.Clemett e R. Zare) che, grazie ad una nuova microsonda al laser hanno scoperto, entro i carbonati di ALH84001, idrocarburi aromatici policiclici (PAH) in quntita' relativamente abbondante. Una possibilita' e' che i PAH siano di provenienza interstellare dal momento che la loro presenza e' ben nota nelle polveri cosmiche da cui sono nate le meteoriti piu' primitive. In alternativa i PAH potrebbero essere di provenienza terrestre (sono infatti uno dei residui della combustione imperfetta del petrolio). Ma i PAH potrebbero anche derivare dalla decomposizione di complesse molecole organiche batteriche ed e'proprio questa, per le ragioni che spiegheremo, l'ipotesi preferita dal gruppo di McKay. Molto importanza e' stata poi attribuita alla struttura dei carbonati presenti nelle fratture di ALH84001.
Figura 6
Granuli  di carbonati all'interno di ALH84001.  Il cuore arancione e' costutito da carbonato di Calcio e Manganese. Le cortecce periferiche  sono stratificazioni alternate di carbonato di Ferro (Siderite bianca) e carbonato di Magnesio (Magnesite scura).
Immagine più grande: 75 Kb
Essi sono infatti presenti come granuli tondeggianti (Fig.6: vari granuli arancioni di carbonati) del diametro medio di 50-100 microns, nei quali la composizione varia dall'interno verso l'esterno, come se l'ambiente chimico in cui si sono depositati abbia subito delle repentine variazioni. Per quanto siano concepibili molte spiegazioni naturali (per esempio un cambiamento della temperatura dell'acqua che ha rilasciato i depositi di carbonati), ancora una volta il gruppo di McKay tende a favorire l'ipotesi di un metabilismo batterico.
Anche perche', grazie al contributo di H.Vali (Universita' di Montreal), nelle parti piu' esterne dei globuli di carbonato sono stati scoperti accumuli contemporanei di ossido di Ferro (Magnetite) e solfuro di Ferro (pirrotite), in particelle non piu'lunghe di 100 nanometri. Secondo H.Vali le inclusioni di magnetite hanno grande somiglianza con depositi dello stesso materiale che, chiamati "magnetofossili", vengono usati da certi batteri terrestri per orientarsi nel campo magnetico esterno. Gli stessi batteri possono altresi' creare condizioni per la precipitazione contemporanea di magnetite e pirrotite, laddove e' ben noto che questo processo, perche' avvenga in maniera naturale, richiede condizioni chimiche assolutamente improbabili.
Ma a queste testimonianze chimiche di possibile attivita' biologica marziana si e' aggiunta, grazie al contributo di due esperti di microscopia elettronica come E.K.Gibson (JSC) e Kathie L. Thomas-Keprta (Lockheed Martin), un clamoroso riscontro di tipo paleontologico. In pratica cioe', laddove nei carbonati di ALH84001 si concentrano i minerali di Ferro, foto al microscopio elettronico hanno evidenziato strutture ovoidali allungate, mai prima riscontrate in nessun meteorite ed incredibilmente simili a tracce fossili di batteri terrestri. Ricorda con emozione E.Gibson: "Senza dirle nulla, ho fatto vedere a mia moglie, che e' microbiologa, la mia prima foto di quegli 'strani oggetti' e subito mi sono sentito chiedere di che batteri si trattava!". Ma per quanto le caratteristiche morfologiche siano molto 'insinuanti', e' la dimensione dei supposti batteri fossili marziani a lasciare perplessi: la loro lunghezza va infatti da 20 a 100 nm, il che e' come dire che sono da 10 a 100 volte piu' piccoli dei piu'piccoli batteri fossili terrestri. Una contestazione, questa, in parte condivisa anche dallo stesso D. McKay che pero', fin dal primo momento, ha sempre ribadito con fermezza il pensiero di fondo del suo gruppo: "Ciascuna delle testimonianze che noi abbiamo raccolto potrebbero essere singolarmente spiegate in maniera NON biologica. Quando esse vengono pero' valutate COLLETTIVAMENTE, soprattutto in considerazione della loro chiara ASSOCIAZIONE SPAZIALE, ci sembra che debbano considerarsi una prova dell'antica esistenza di forme di vita primordiali su Marte".
Inutile aggiungere che dopo l'annuncio degli scienziati della NASA sono immediatamente scoppiate polemiche e contestazioni. Polemiche che sono aumentate piu' che placarsi nei mesi successivi. Polemiche che, pero', hanno anche avuto l'effetto positivo di stimolare centinaia di scienziati ad occuparsi del problema con lavori originali nuovi ed appassionanti. Durante il 1997 tre sono state le occasioni principali di incontro tra gli specialisti del settore: il 28° Congresso di Scienze Lunari e Planetarie (28°LPSC) tenutosi ad Houston tra il 17 e il 21 Marzo, la Conferenza EM sulla evoluzione di Marte (Early Mars), tenutasi ancora ad Houston tra il 24 e il 27 Aprile e la 60° Conferenza sui Meteoriti (60°MMS), tenutasi tra il 21 e il 25 luglio all'isola di Maui, nelle Hawaii. Il tutto ha provocato un autentico diluvio di pubblicazioni sulle piu' importanti riviste internazionali specializzate nel settore. Faurori ed oppositori della presenza di residui fossili di vita marziana in ALH84001 si sono dati battaglia con risultati a volte convincenti, a volte discutibili o controversi. Il compito della seconda parte di questo articolo e' proprio quello di cercare un filo conduttore coerente in questa autentica 'giungla' di nuovi lavori sperimentali.



DA DOVE VENGONO I PAH?

Come abbiamo accennato ALH 84001 contiene una quantita' media di 1 ppm (parte per milione) di idrocarburi aromatici policiclici (PAH), concentrati soprattutto all'interno delle inclusioni di carbonati.
Figura 7
Spettro di massa dei PHA (idrocarburi aromatici policondensati) scoperti nei carbonati di ALH84001. Dal grafico si osserva che i costituenti principali (peso molecolare fino a 276), caratterizzati da 3-6 anelli senza sostituenti laterali, sono fondamentalmente differenti dai PAH di provenienza umana.
Immagine più grande: 26 Kb
Gli spettri di massa (Fig.7: spettro di massa dei PAH di ALH84001) ne indicano una suddivisione in due categorie: nella principale (peso molecolare fino a 276) dominano i sistemi da 3-6 anelli senza sostituenti laterali (molto strana e' l'assenza del naftalene, ossia della specie a due anelli), la seconda (peso molecolare fino a 450), nettamente meno abbondante, e' invece caratterizzata dalla presenza di policicli ad alto grado di
sostituzione laterale. La prima contestazione alla presenza di PAH e' stata che essi potrebbero non essere indigeni, ma derivare da inquinamento terrestre.
Figura 8
L'andamento con la profondita' della concentrazione del piu' abbondante dei PAH (crisene) rintracciati nei carbonati di ALH 84001. Come si vede i PAH sono assenti nei primi 50 microns di crosta (dove evidentemente sono stati distrutti dall'attrito termico con l'atmosfera terrestre); poi, a dimostrazione che NON si tratta di inquinamento terrestre, la loro concentrazione AUMENTA con la profondita'.
Immagine più grande: 31 Kb
Su questo punto il team di McKay ha subito ribattuto in maniera molto convincente. Intanto i PAH sono assenti nei primi 50 microns di crosta (dove evidentemente sono stati distrutti dalla pirolisi termica durante l'entrata in atmosfera), quindi la loro concentrazine AUMENTA con la profondita' (Fig.8: grafico dell'aumento con la profondita' del piu' abbondante dei PAH del meteorite): esattamente l'opposto di quanto ci si deve aspettare da un inquinamento ambientale! In secondo luogo i PAH di provenienza umana (leggi: combustione parziale di idrocarburi fossili) sono caratterizzati da estese ramificazioni laterali e dalla presenza di eterocicli a base di Zolfo (dibenzotiofene), nonche' di naftalene: esattamente il contrario che in ALH84001 dove, tra l'altro, non si e'trovata traccia di benzotiofene. Il team di Mckay ha inoltre ben evidenziato come in altre meteoriti antartiche sia provenienti dalla stessa regione di ALH84001 (ALH83013 e ALH83101) che da molto piu' lontano (LEW 85820) NON sono state trovate tracce evidenti di PAH. Senza contare che la quantita' di PAH entro ALH84001 e'risultata nettamente superiore alla quantita' massima presente nei ghiacci dell'Antartide (stimata non superiore a 1 ppb, ossia 1000 volte meno abbondante!). Cosi', secondo una comunicazione presentata da I.Wright (Open University) alla 60° MMS sarebbe necessario un passaggio attraverso ALH84001 di qualcosa come 8000 litri di acqua antartica per avere una simile contaminazione di PAH! Ma subito L.Becker e J.Bada (Scripps Oceanographic Institute) hanno ribattuto postulando un meccanismo naturale di concentrazione degli organici in Antartide, basato sulla continua sublimazione dei ghiacci veicolata da processi eolici. Lo stesso J.Bada aveva presentato nella primavera del 1997 un altro lavoro di sottile contestazione: secondo esperimenti condotti nel suo laboratorio i carbonati sarebbero in grado di assorbire dall'acqua circostante i PAH concentrandoli fino ad un milione di volte! Lo confermerebbe il fatto che PAH simili a quelli di ALH84001 sono stati trovati in un altro famoso meteorite marziano, EETA79001 dove, guarda caso, il gruppo di C.T. Pilliger (Open University) rinvenne tracce di carbonati gia' nel lontano 1985. Considerazioni difficili da ribattere? Certo, ma non per S.Clemett (lo scopritore di PAH in ALH8401) che ha colto nel lavoro di J.L.Bada due chiari punti deboli: intanto J.L.Bada ha usato nei suoi esperimenti una miscela di PAH SOLUBILI in acqua, mentre invece la maggior parte dei PAH entro ALH84001 sono INSOLUBILI (quindi NON trasportabili dall'acqua); in secondo luogo sono stati testati carbonati di CALCIO, che costituiscono il cuore dei granuli presenti in ALH84001 ma che sono praticamente esenti da PAH: questi ultimi si trovano infatti concentrati alla periferia dei granuli stessi, dove a predominare sono i carbonati di MAGNESIO e FERRO. Questa puntualizzazione ha permesso a S.Clemett di ribattere ad un'altra contestazione di E.Anders, un chimico dell'Universita' di Chicago. In pratica, secondo E.Anders, potrebbe darsi benissimo che i carbonati siano associati ai PAH solo per ragioni fisiche, ossia perche' sono intrinsecamente piu' porosi dell'ambiente circostante. Ma, ribatte a questo punto S.Clemett, se fosse cosi' non si capisce perche' i PAH debbano preferire i carbonati di Fe e Mg!
In definitiva, dopo un anno di discussioni, sembra ormai accettato il fatto che i PAH in ALH84001 siano di natura endogena, ossia originari del meteorite. Rimane pero' aperta la discussione sulla loro origine, se biologica o naturale. Il fatto e' che i PAH sono tra i composti piu' diffusi in natura e si possono formare sia a partire da materiale biologico (come in antichi sedimenti terrestri) che a partire da semplici processi inorganici (come nei granuli di polvere interstellare dai quali, poi, si trasferiscono nelle meteoriti del tipo condriti carboniose). Naturalmente McKay e il suo team prediligono l'origine biologica. E in questo sono fortemente supportati da un lavoro presentato dal gruppo di C.Pillinger (Open University) al 28°LPSC secondo cui il materiale organico (soprattutto PAH) adsorbito nella matrice carbonatica di ALH84001 e' nettamente ARRICCHITO di Carbonio12 rispetto al Carbonio13, una caratteristica, questa, assolutamente tipica del metabolismo batterico. Diversa e'invece l'opinione di J.Bell (Universita' delle Hawaii) secondo cui i PAH sarebbero si' di origine marziana, ma NON di origine batterica. A depositarli su Marte sarebbero stati i meteoriti del tipo C2, se non addirittura frammenti di rocce provenienti dai satelliti Phobos e Deimos. Una conferma potrebbe risiedere in un lavoro presentato dal gruppo di T.Hiroi al 60°MMS, dove e' stata mostrata l'esistenza di una grossa similitudine degli assorbimenti nella regione infrarossa tra 3,3 e 3,7microns, per il materiale organico estratto da ALH84001 e per quello proveniente da una normale condrite carboniosa C2.



IL MESSAGGIO DEI CARBONATI.

Come abbiamo spiegato, tutti gli indizi dell'esistenza di batteri marziani fossili si raggruppano all'interno dei carbonati che riempiono le fessure di ALH84001. Diventa quindi di fondamentale importanza decidere se questi carbonati si sono depositati ad una temperatura compatibile con lo sviluppo di un qualunque tipo di attivita' biologica.
Per cominciare riassumiamo nei dettagli la struttura chmica di queste formazioni perche' trattasi di qualcosa davvero molto particolare, forse unico.
Figura 9
La stratificazione esterna di uno dei granuli di carbonato presenti all'interno di ALH84001. Le bande chiare e scure sono una successione di carbonato di ferro e di magnesio. All' interno di queste bande si concentrano granuli di magnetite (ossido di ferro) e di pirrotite (solfuro di ferro) magnetizzabili.
Immagine più grande: 62 Kb
La forma tipica e' quella di globuli rotondeggianti di 10-50 microns con composizione nettamente disomogenea (Fig.9: struttura stratificata di un granulo di carbonato): c'e'un cuore, di colore arancione, normalmente costituito da carbonato di CALCIO e di MANGANESE, circondato da bande alternate di Carbonato di FERRO (siderite chiara) e carbonato di MAGNESIO (magnesite scura). L'orientzione 'verso l'esterno' dei cristalli di magnetite indica chiaramente una deposizione POSTERIORE al cuore. Immagini al microscopio elettronico delle regioni ricche di ferro hanno evidenziato la presenza massiccia ed omogenea di granuli di Magnetite (ossido di Ferro magnetizzabile) (Fig. 10: particelle di magnetite) con dimensioni da 10 a 100 microns, cui si aggiunge una porzione minore (5%) e piu' localizzata (domini di 5-10 microns) di particelle irregolari di pirrotite (solfuro di ferro).
Figura 10
Granuli di magnetite fotografati al microscopio elettronico all'interno dei carbonati di ALH84001. Secondo il gruppo di D.McKay, la struttura cristallina e la regolarita' delle forme e' simile a quella che si ritrova all'interno di certi batteri terrestri.
Immagine più grande: 34 Kb
Al contrario che in periferia, il cuore di un globulo carbonatico contiene poche particelle di magnetite ed un tipo di solfuro di ferro la cui forma allungata e regolare ricorda molto da vicino (secondo McKay) la greigite di origine batterica. E' molto importante far notare come la matrice carbonatica in contatto con magnetite e solfuro di Ferro appare SEMPRE ESTREMAMENTE POROSA, come se avesse subito un parziale processo di dissoluzione; questo, dal punto di vista chimico, e' possibile solo in un ambiente fortemente acido: peccato che, in simile eventualita', sarebbe completamente inibita la contemporanea precipitazione di magnetite e solfuro di ferro! Un bel rompicapo, non c'e' che dire, cui il gruppo di D.McKay ha saputo sottrarsi elegantemente ricorrendo ancora una volta all'ipotesi batterica: sono infatti noti molti processi biologici caratterizzati dalla coesistenza di magnetite e solfuro di Ferro entro una matrice di carbonato parzialmente dissolto. Un'ipotesi batterica che, a questo punto, diventa indissolubilmente legata alla temperatura (alta o bassa) di deposizione dei carbonati marziani.
In favore di una temperatura di deposizione BASSA ci sono due filoni principali di ricerca: uno basato sulla misura dei rapporti isotopici della CO2 estratta dai carbonati e un altro basato sulla scoperta di magnetismo fossile residuo.
Il primo approccio e' stato introdotto gia'alla fine del 1994 da G.S.Romanek (uno dei primi ad unirsi al gruppo di D.McKay al Johnson Space Center) mediante la misura della composizione isotopica del C (Carbonio) e dell'O (ossigeno) della CO2 (anidride carbonica) emessa dai carbonati stessi per trattamento acido ad 80°C. Fu molto interessante constatare come la CO2 mostrasse lo stesso arricchimento in Carbonio13 (40%. rispetto al C12) misurato nell'atmosfera marziana. Questa misura, confermata con metodi molto piu' raffinati da J.W.Walley (Universita del Wisconsin) nel Marzo'97, eliminava del tutto l'ipotesi che i carbonati del meteorite marziano fossero frutto di un imquinamento terrestre. Ma, soprattutto, G.Romanek rimase colpito dal fatto che l' Ossigeno dei carbonati mostrava un arricchimento in O18 (20%. rispetto a O16) differente e 4 volte superiore a quello della matrice silicatica (che, verosimilmente, si era depositata ad alta temperatura). Nell'ipotesi (molto probabile secondo Romanek) che i carbonati fossero stati depositati nelle fessure di ALH84001 da acqua corrente ricca di CO2, fu anche possibile (simulando sperimentalmente la deposizione di carbonati con lo stesso arricchimento in O18) dedurre che la temperatura ambientale massima a cui era avvenuto il processo non poteva superare gli 80°C. Nei primi sei mesi del'97 questa conclusione si e'ulteriormente rafforzata grazie all'uso di una rivoluzionaria microsonda a ioni (SIMS ossia Ion Micoprobe-Secondary Ion Mass Spctrometry) in grado di vaporizzare (ed inviare ad uno spettrometro di massa) quantita' infinitesime di materiale senza trattamento chimico, quindi in grado di effettuare analisi in punti diversi di un singolo granulo di carbonato. Dopo il primo lavoro in proposito pubblicato nel Marzo'97 da J.W.Walley (Universita' del Wisconsin), un'altra mezza dozzina di comunicazioni di altri autori sono state presentate al congresso EM di Aprile e al 60°MMS di luglio'97. Oltre a confermare il generale arricchimento in O18 riscontrato da G.W.Romanek, J.W.Valley ha ottenuto un altro importante risultato: quello secondo cui il tenore di O18 NON e' costante ma e' variabile, aumentando, lungo un granulo di carbonato, progressivamente dal cuore verso la periferia. Perfettamente costante (e da 2 a 4 volte minore) si e' invece confermato il tenore di O18 nella matrice ortopirossenica. Questo andamento, fa osservare J.W.Walley indica chiaramente una condizione di NON equilibrio, compatibile solo con una deposizione a bassa temperatura: insomma, se i carbonati si fossero depositati alla temperatura di qualche centinaio di °C l'eterogeneita' isotopica riscontrata non avrebbe mai potuto conservarsi.
Forse, pero', la prova piu'consistente che i carbonati di ALH84001 non possono aver sperimentato altissime temperature, deriva da uno studio sul magnetismo naturale residuo (NRM), pubblicato nella primavera del 1997 da J.L. Kirschvink (CalTech).E' ben noto che quando una roccia si forma per raffreddamento di un magma fuso in presenza di un campo magnetico esterno, eventuali minerali magnetizzabili si allineano secondo questo campo magnetico conservandolo indefinitamente sotto forma di magnetismo fossile (NRM). L'intensita' di questo NRM e' un'ottima indicazione dell'intensita' e direzione del campo magnetico planetario al momento della solidificazione del campione. Se la roccia si piega o si frattura, il NRM puo' assumere direzione differente dal campo esterno originario senza che, pero',se ne modifichi la sua intensita'. Se pero' la roccia viene scaldata al di sopra di una certa temperatura critica, il vecchio NRM viene cancellato e sostituito con quello presente esternamente al momento del nuovo raffreddamento. In base a questo principio si e' potuto dimostrare che i globuli di carbonato presenti nelle fessure di ALH84001 si dovettero formate a temperatura sicuramente < 325°C. Vediamo di capire il perche'. In pratica Kirschvink ha prelevato un frammento da una delle fratture di ALH84001 piu' ricolme di carbonati e ha rilevato un analogo forte magnetismo fossile NRM in due piccole zone adiacenti ricche di pirrotite. Gia' questa prima osservazione e' molto importante perche' dimostra che Marte, al momento in cui la pirrotite (veicolo del NRM) si formo' (circa 4 miliardi di anni fa) doveva avere un campo magnetico molto forte, paragonabile a quello terrestre: ora e' ben nota, a livello biologico, l'azione di protezione che un campo magnetico esterno esplica contro la radiazione cosmica. Ma Kirschvink ha anche verificato che l' orientazione del NRM nei due frammenti e' completamente diversa (la differenza e'di ben 75°). Questo significa che i due frammenti possono aver subito una dislocazione reciproca nel momento in cui il meteorite si fratturo' (come detto 4 milardi di anni fa), senza che, pero', in seguito si siano sovrapposti episodi di riscaldamento a Temperatura >325°C (questa e' infatti la temperatura in grado di azzerare il magnetismo della pirrotite). Se questo fosse successo i due frammenti avrebbero perso il magnetismo (disassato) originario e ne avrebbero acquisito uno nuovo, questa volta senza differenza di orientazione! Siccome i granuli di carbonati si trovano entro le fratture e' logico supporre -secondo Kirschvink- che essi si siano formati dopo queste ultime (come detto tra 3,6 e 1,4 milirdi di anni) e che, quindi non possano mai aver subito esagerati traumi termici (ripetiamo che, in qualunque momento la loro temperatura fosse salita oltre i 325°, nello stesso momento tutti i NRM si sarebbero riallineati).
Come si vede, dunque, questo del magnetismo residuo e' un argomento molto 'forte' a favore di una bassa temperatura per la deposizione dei carbonati. Cio' non toglie che siano molto agguerriti anche i fautori della deposizione ad alta temperatura.
A guidare il gruppo e' H.Y. McSween (Universita' del Tennesse) il quale contesta che i carbonati siano stati deposti in ALH84001 da acqua corrente a bassa temperatura per una ragione molto semplice: mancano, nelle vicinanze dei carbonati, materiali come caolini od argille che sempre si accompagnano ai sedimenti idrotermali (in realta', al 28°LSC, McKay ne ha documentato piccola tracce in regioni esenti da carbonati). Detto questo, McSween puntualizza la sua attenzione su quella che e' la caratteristica piu' peculiare dei granuli di carbonato di ALH84001, vale a dire la loro stranissima stratificazione, con abbondanza di Calcio al centro e di Ferro e Magnesio in periferia. Spiegare come possa, dell'acqua corrente a bassa temperatura produrre questo effetto e' davvero arduo (sarebbero necessari repentini ed improbabili cambiamenti nella composizione dell'acqua stessa) a meno di ammettere (come ha tentato L.Leshin, dell'Univerita' della California, durante il 28°LPSC) che il tutto sia avvenuto in un sistema chiuso (leggi riserva non rinnovabile di acqua carbonatata) ad alta temperatura. Piu' semplice, secondo MvSween, supporre che l'acqua in tutto il processo non centri assolutamente nulla. La ragione? I carbonati si sarebbero depositati ad una temperatura non inferiore ai 700°C. Le dimostrazioni sono strettamente di natura chimica. Intanto McSween ha scoperto che il cuore dei granuli di carbonato e' costituito da una miscela di due minerali di Calcio, la Calcite e la Dolomite: ebbene, da esperimenti di laboratorio, cio' risulta possibile solo a Temperature vicine ai 700°C. Un valore, questo compatibile anche con la composizione delle stratificazioni di carbonato di Ferro e di magnesio. Si puo' dimostrare sperimentalmente infatti che questi minerali accettano di essere 'inquinati' da Calcio solo a temperature molto alte: guarda caso, le analisi di McSwenn indicano una presenza di carbonato di calcio che rasenta il 10%. Ma, fermo restando l'ipotesi dell'alta temperatura, quale meccanismo non idrolitico puo' aver favorito la sintesi di questi famosi carbonati? Secondo McSween il tutto sarebbe avvenuto per reazione tra il pirosseno della matrice del meteorite (ricco, come i carbonati, di Ferro e Magnesio) ed eccesso di anidride carbonica (della quale e', come noto, assai ricca la superficie di Marte). Ma perche' la reazione di carbonatazione sia efficace e' necessario un surriscaldamento di almeno 650°C: ebbene, secondo McSween, gli agenti ideali per tutto questo sarebbero i continui impatti meteorici. Il che e'come dire che, se avesse ragione McSween, la superficie di Marte dovrebbe essere letteralmente coperta di carbonati!
Il ricorso all'azione degli impatti meteorici e'stato preso in considerazione pure da E.D.Scott (Universita' delle Hawaai), anche se, in questo caso, le considerazioni sono piu' di tipo mineralogico che chimico. Secondo Scott molti dei carbonati riempiono in maniera cosi' compatta le fratture del meteorite da far pensare che essi vi si siano inseriti allo stato fuso (e' ben noto-ricorda Scott- che le lave carbonatiche sono tra le piu' fluide che si conoscano). Il fatto, poi che si trovino 'gocce' solide di carbonato all'interno di formazioni vetrose di maskelinite e viceversa, sembrerebbe confermare un'origine temporale comune. D'altra parte la maskelinite e' un vetro da impatto che si forma solo ad altissime pressioni e temperature: e'logico quindi pensare -dice Scott- che un unico fenomeno di impatto abbia prodotto le fessure nel meteorite, la maskelinite e la fusione del carbonato poi infiltratosi nelle fessure stesse.
Ma, ad essere sinceri, l'eventualita' di un carbonato fuso cozza contro un'evidente incongruenza: in questo caso la cristallizzazione nei singoli granuli (leggi: orientazione dei cristalli) dovrebbe procedere dall'esterno verso l'interno e non, come si osserva in realta', viceversa! In definitiva l'ipotesi dell'alta temperatura per diventare davvero convincente, avrebbe bisogno di ricerche molto piu' raffinate. Tra queste, una delle piu' seguite e' l'analisi, entro i carbonati, di elementi in tracce. Per esempio il gruppo di J.D.Gilmour (convegno EM dell'Aprile'97) ha rilevato, nella matrice carbonatica, un eccesso di Potassio e Cromo; per contro il gruppo di G.J. Flynn (28°LPSC) ha rilevato una strana penuria di elementi volatili (tipo Tallio, Bismuto, Cadmio): entranbe queste osservazioni -secondo gli autori- sono difficilmente compatibili con una deposizione a bassa temperatura.



IL MISTERO DEI BATTERI FOSSILI.

Per quanto D.McKay e il suo gruppo abbiano asserito che le osservazioni finora descritte sono piu' che sufficienti per giustificare l'ipotesi dello sviluppo su Marte di forme primordiali di vita, non c'e' dubbio che il documento piu' clamoroso e controverso (in pratica quello che ha fatto il giro di tutte le agenzie di stampa del mondo) e' costituito dalle immagini (ottenute con il SEM, microscopio elettronico a scansione) di possibili batteri fossili all'interno dei carbonati di ALH84001.
Figura 11
Ipotetici batteri fossili marziani fotografati col microscopio elettronico all'interno dei carbonati di ALH84001. Le dimensioni vanno da 10 a 100 nanometri, quindi sono di almeno un ordine di grandezza inferiori ai piu' piccoli batteri terrestri.
Immagine più grande: 53 Kb
Figura 12
Questa immagine al microscopio elettronico e' uno degli esempi piu' interessanti della possibile esistenza di nanobatteri fossili all'interno dei carbonati di ALH84001. La struttura allungata al centro si estende per 200 nanometri ed appare segmentata come se si trattasse di una colonia di molti batteri allineati.
Immagine più grande: 58 Kb
Si tratta di aggregati di piccoli 'oggetti' ovoidali (Fig.11 e Fig 12: nanofossili marziani isolati e in catena) rintracciati in tutte quelle zone dove i carbonati sembrano aver subito un processo disgregativo e particolarmente abbondanti laddove c'e' addensamento di ferro e zolfo (leggi: bordi esterni dei granuli carbonatici). Se la loro morfologia richiama in maniera impressionante quella di batteri fossili terrestri, le loro dimensioni arrivano al massimo a 100 nm (nanometri), quindi sono da 10 a 100 volte piu' piccoli di qualunque batterio terrestre conosciuto. La critica piu' immediata e' stata quella di un possibile artefatto dovuto alla preparazione molto particolare dei campioni da sottoporre al microscopio elettronico. Un'ipotesi decisamente esclusa da D.McKay che ha fatto notare come nulla di simile sia stato trovato in altre meteoriti antartiche sottoposte allo stesso trattamento. Un'ipotesi, comunque, immediatamente tramontata quando A. Steele (Universita' di Portsmouth), durante il 28°LPSC, ha mostrato foto delle stesse formazioni ovoidali ottenute con uno strumento completamente diverso dal SEM, vale a dire un microscopio a forza atomica (AFM), che esplora il campione con un sottile pannello elettronico senza introdurre nessuna modifica superficiale. Che le microforme ovoidali racchiuse nei carbonati di ALH84001 siano qualcosa di realmente esistente non si puo' quindi onestamente mettere in dubbio. I dubbi, quelli seri, riguardano la loro vera natura.
Figura 13a
Cianobatteri fossili terrestri ritrovati da J.W.Schopf nella regione australiana occidentale di Apex e risalenti a 3,5 miliardi di anni fa.
Immagine Copyright 1993 Science.
Immagine più grande: 61 Kb
Figura 13b
Cianobatteri fossili terrestri ritrovati da J.W.Schopf nella regione australiana occidentale di Apex e risalenti a 3,5 miliardi di anni fa.
Immagine Copyright 1993 Science.
Immagine più grande: 74 Kb
Su questo punto le perplessita' maggiori rimangono quelle delle loro troppo piccole dimensioni. Per esempio W. Schopf (Universita' della California), un'autorita' mondiale nella ricerca e scoperta di microfossili terrestri (sua e' la recente scoperta, in Australia occidentale, di cianobatteri fossili (Fig. 13a e b) risalenti a 3,5 miliardi di anni fa), ha sottolineato come il volume medio dei presunti batteri marziani sia solo 1/1000 di quello del piu' piccolo nicroorganismo terrestre: in un volume cosi' piccolo sembra impossibile possano trovar posto i costituenti principali del metabolismo cellulare. Va pero' ricordato che nel 1990 R.L.Folk e F.L.Lynch (Universita' del Texas) hanno rintracciato in alcune concrezioni calcitiche del Pleistocene delle minuscole forme fossili da essi interpretate come l'impronta di antichi nanobatteri (Fig. 14: probabili nanobatteri fossili terrestri).
Figura 14
Possibili nanobatteri fossili terrestri ritrovati da R.L. Folk in alcune concrezioni calcitiche del Pleistocene. L'interpretazione batterica di queste forme e' comunque ancora molto controversa.
Immagine più grande: 51 Kb
Non tutti accettano questa identificazione ma, se essa si dimostrasse corretta, ci sarebbe la prova che anche sulla Terra sono esistiti batteri di dimensioni paragonabili a quelli ipotizzati nel meteorite marziano. Per questa ragione sono molti i ricercatori che si stanno attualmente dando da fare alla ricerca di possibili nanobatteri fossili in ambienti terrestri simili a quello di ALH84001.
A questo punto, pero', non si deve dimenticare che un' altra delle perplessita' sui batteri fossili marziani riguarda proprio la loro eta' che, essendo coeva con la deposizione dei carbonati, si colloca tra 3,8 (troppo antica!) e 1,4 miliardi di anni fa (troppo giovane!).
L'eta'piu' antica sembrava inizialmente inaccettabile perche' la vita marziana avrebbe dovuto svilupparsi in tempi troppo brevi dalla formazione del pianeta (poco piu' di mezzo miliardi di anni). Senonche', alla fine del 1996, un gruppo di ricercatori guidati da S.J. Mojzsis (Universita' della California) ha dimostrato che le prime tracce di vita terrestre risalgono proprio a quel periodo.
Figura 15a
I più antichi sedimenti conosciuti al mondo si trovano nell'isola di Akilia (Groenlandia settentrionale).
Immagine Copyright 1996 Nature.
Immagine più grande: 66 Kb
Figura 15b
Cristalli di apatite ritrovati nell'isola di Akilia (Groenlandia settentrionale). Ad ingrandimento crescente si osserva come, all'interno di uno di questi granuli di apatite, ci siano delle inclusioni scure di materiale organico che mostrano un netto arricchimento di C12 (carbonio 12) rispetto al C13, tipico di un'attivita' biologica in atto gia' in quel lontano passato.
Immagine Copyright 1996 Nature.
Immagine più grande: 52 Kb
 La ricerca, condotta entro alcune rocce antichissime della Groenlandia (Fig.15) occidentale, pur non avendo portato alla scoperta di forme fossili, e' comunque molto convincente: gli autori infatti hanno analizzato delle tracce di materiale carbonioso all'interno delle suddette rocce, rintracciandovi l'inconfondibile arricchimento di C12 (carbonio 12) rispetto al C13, tipico di un'attivita' biologica in atto 3,85 miliardi di anni fa. Nel caso, invece, di un'eta' molto piu'giovane dei carbonati marziani (1,4 miliardi di anni) tracce di vita al loro interno sembrerebbero da escludersi perche' risalenti ad un periodo dove, su Marte, si erano ormai esaurite le condizioni minime per qualunque tipo di attivita' biologica. Ma i dati presentati dal gruppo di C.Pillinger (Open University) ad un congresso della Royal Society tenutosi nel Novembre'96 a Londra hanno completamente riaperto la discussione. Oggetto della ricerca e' stata l'analisi della presenza di sostanze organiche in un'altra famosa meteorite marziana, EETA79001, la cui eta'-come ben noto- e'di soli 1,3 miliardi di anni. Ebbene, elaborando e completando alcuni dati preliminari pubblicati gia' nel 1989, gli studiosi inglesi asseriscono di aver estratto da EETA79001 del materiale carbonioso che, presentando un nettissimo impoverimento in C13 (in un campione si arriva al doppio della media terrestre!) va a tutti gli effetti ritenuto di origine biologica. Questo risultato, se confermato, non solo sarebbe di grosso supporto ai risultati del gruppo di McKay su ALH84001, ma dimostrerebbe anche che la vita su Marte era ancora attiva 1,3 miliardi di anni fa.
Sta di fatto che, durante il 28° LPSC del Marzo'97 anche uno degli argomenti 'forti' del gruppo di McKay ha subito un severo attacco. Il problema riguarda i granuli di magnetite e pirrotite che si accumulano nelle vicinanze dei supposti nanobatteri marziani. Secondo la biologa K. Thomas-Keprta (Lockheed-Martin) le particelle di magnetite hanno la stessa estrema regolarita' di forma e dimensioni (50 nm) che si ritrova quando esse vengono depositate all'interno di certi batteri (un esempio tipico e' Aquaspirillum magnetotacticum). Ma questa asserzione e' stata decisamente contestata da H.McSween, perche' il biologo della Tennessee University sostiene di avere meticolosamente cercato ed individuato una grande quantita' di forme diverse di magnetite. In piu', secondo quanto affermato da R.Harvey (Universita' di Cleveland), molte particelle di magnetite presentano cosi' evidenti difetti nella struttura cristallina da farne escludere non solo l'orgine biologica ma anche la deposizione a bassa temperatura. Ancora piu' categorica la posizione di J.Bradley (Universita' della Georgia) secondo cui i supposti nanofossili marziani non sarebbero altro che granuli allungati di magnetite (Fig. 16: aghi di magnetite simili a nanobatteri).
Figura 16
Particelle di magnetite a forma di aghetti, simili a nanobatteri.
Immagine più grande: 22 Kb
Un altro punto molto delicato e' stato toccato da C.K.Sheare (Universita' del New Mwxico) e J.P.Greenwood (Universita' del Tennessee) e riguarda la misura del rapporto tra Zolfo32 (S32) e Zolfo34 (S34) nei solfuri di Ferro all'interno (pirrotite) ed all'esterno (pirite) dei carbonati di ALH84001.Questa indagine e' importante perche' e'ben noto che, nei batteri terrestri, c'e' una netta tendenza all'arricchimento di S32 rispetto all'S34. Ebbene le microanalisi entro ALH84001 sembra indichino sempre una situazione del tutto opposta a quella biologica (leggi: eccesso di S34): gli stessi autori fanno notare che questa situazione e' tipica di molte altre meteoriti marziane da essi analizzate (Fig.17: istogramma della composizione isotopica dello zolfo in vari campioni terrestri e non terrestri).
Figura 17
Istogramma della composizione isotopica dello zolfo in vari campioni terrestri e non terrestri.
Immagine più grande: 24 Kb
A questo punto per risolvere il mistero dei supposti nanofossili marziani un sistema ci sarebbe: cercare di sezionarli per evidenziarne una eventuale parete cellulare ed altre strutture interne. Purtroppo i pochi tentativi finora messi in atto hanno fornito risultati inconcludenti, perche' si tratta di un'operazione assolutamente al limite delle potenzialita' degli attuali microscopi elettronici. Un'alternativa sarebbe l'individuazione, tra il materiale organico di ALH84001, di amminoacidi di sicuro significato biologico (leggi, per esempio, arricchiti in isomeri levogiri). Un'impresa che S.Clemett ha promesso di tentare ma che, stante lo stato attuale delle tecnologie chimiche, sembra altrettanto ardua dell'approccio precedente.
Questo, dunque, un riassunto il piu' possibile critico, di tutte le ricerche finora disponibili. La conclusione che se ne trarre e'che ci sia ancora molto da lavorare prima di arrivare ad un verdetto definitivo. Sintomatico, al proposito, il risultato di un'indagine compiuta da T.Swindle (Universita' dell'Arizona) tra tutti i partecipanti al 28° Congresso di Scienze Lunari e Planetarie tenutosi a Houston nella primavera del 1987. A quanto sembra solo il 20% degli intervistati ritiene che le prove a disposizione dimostrino con sufficiente certezza l'esistenza di antica attivita'microbica su Marte.
Tutti, comunque, sono convinti che la prova decisiva dell'esistenza (o meno) di vita su Marte debba arrivare proprio da Marte: strutture ovoidali simili a quelle di ALH84001 fotografate da una sonda spaziale direttamente all'interno di un terreno alluvionale marziano sarebbero una prova decisiva anche per i piu' dubbiosi.....
 
 
 

INSERTO
Batteri marziani o artefatti?

Tra dicembre e gennaio la stampa ha riportato la notizia secondo cui, entro i globuli di carbonato del famoso meteorite ALH84001 i supposti batteri fossili (rivendicati dal team di David McKay della NASA) non sarebbero altro che artefatti dovuti alla prepara-zione del campione da sottoporre all'indagine col microscopio elettronico. Ci sembra quindi giusto tornare su questo argomento (che gia' trattammo diffusamente nella lettera N.73) per cercare di fare un minimo di chiarezza. Diciamo intanto che a rinfocolare la polemica ci ha pensato il gruppo di J.P. Bradley (Georgia Institute of Technology) con un breve articolo apparso sul numero del 14 Dicembre'97 della rivista NATURE. Per inciso ricordiamo che Bradley e il suo gruppo erano gia' tra i principali critici  dell'ipotesi batterica : per loro le forme allungate rintracciate da McKay all'interno dei globuli di carbonati di ALH84001 non sarebbero altro che 'aghi' di magnetite ivi formatesi per deposizione ad alta temperatura. Adesso la critica si e' fatta ancora piu' pressante . In pratica il team di J.P. Bradley, con una tecnica di microscopia elettronica ad alta risoluzione  (FE-SEM) analoga a quella di D.McKay ha ripreso immagini  della superficie di una fessura di ALH84001 ricca di carbonati, nonche' della superficie dei carbonati stessi. Inclinando opportunamente l'angolo di incidenza del pannello di elettroni che, nel SEM, colpendo la superficie e venendo riflesso produce le immagini, e' risultata chiara la presenza di strutture parallele disposte nella stessa  direzione della frattura. Ma, per quanto la somiglianza  con i 'nanobatteri fossili' di McKay sia notevole, per Bradley non e' necessaria alcuna spiegazione biologica : si tratterebbe invece di lamelle di cristalli di pirosseno (la base mineralogica del meteorite) emergenti all'esterno per semplici ragioni geometriche (la loro inclinazione sarebbe differente da quella della superficie di frattura esaminata). 
 
Figura 18
Animali o minerali? I batteri marziani (sinistra) sembrano pezzetti di minerale fotografati nello stesso meteorite (destra).
Immagine più grande: 39 Kb
Il parallelismo e l'orientazione delle lamelle e' certamente singolare e, secondo Bradlley potrebbe essere collegato a qualcuno dei tanti fenomeni di shock da impatto subiti dal meteorite durante la sua storia geologica. Ma come spiegare la 'insinuante' presenza, nelle immagini di McKay, di forme sia allungate che segmentate, tanto simili a colonie batteriche primordiali ? Anche su questo punto Bradley parla di artefatto : si tratterebbe di un effetto dovuto allo strato conduttivo di Oro od Oro\Palladio che si deve depositare sulle superfici da sottoporre alla microscopia elettronica a scansione (SEM appunto) : questo strato, necessario per la riflessione del pannello elettronico che esamina la superficie, si fessurerebbe facilmente se depositato su una superfice angolata e sottile ( tipica delle lamelle di pirosseno); anzi, secondo gli studi di Bradley, la frammentazione si accentua se si aumenta (da 10 a 20 nm) lo spessore depositato.Tutto risolto, allora ? Non proprio, perche' McKay e il suo gruppo hanno immediatamente provveduto a confutare passo per passo le contestazioni di J.P.Bradley
 
Figura 19
La battaglia dei microbi: una forma simile a un verme (sinistra) è un esempio importante di un possibile microfossile di Marte, ma qualcuno pensa che una struttura di minerale dello stesso meteorite (destra, in basso al centro) possa essere scambiata per un microfossile.
Immagine più grande: 37 Kb
Ecco una sintesi dei punti principali. 
1) Le strutture lamellari di cristalli di pirosseno erano ben noti al gruppo di McKay che ne avevano riprese immagini sia su superficie ricoperta (da strato di Oro\Palladio) sia su superficie NON trattata.Le dimensioni di queste strutture sono pero' INFERIORI di almeno un ordine di grandezza (0,1 µ o meno) rispetto a quelle ritenute di origine batterica (che raggiungono anche gli 0,8 µ). 
2) Le lamelle di Bradley sono estremamente regolari e parallele. Invece gli ipotecici nanobatteri di McKay NON sono mai paralleli, spesso sono sovrapposti, qualche volta si trovano isolati, oltre alle  forme allungate vi si trovano anche  strutture ad S ed ovoidali. 
3) La segmentazione NON puo' derivare da una non corretta deposizione di uno strato conduttivo sulla superfice del campione. Lo dimostra-afferma McKay- il fatto che  lo stesso tipo di ricopertura leggera (10 µ) non ha apportato nessun artefatto su tutta una serie di campioni lunari usati come riferimento. Lo dimostra, altresi' il fatto che, con il trattamento adottato, NON si riscontrano differenze sostanziali rispetto a superfici non trattate. 
4) Ultima, e forse piu' importante osservazione: le lamelle di Bradley sono ASSENTI sui bordi dei granuli di carbonato dove maggiore e' la concentrazione di ipotetici 'nanofossili' (ma, come dicevamo, in  questo caso Bradley parla di  cristalli di magnetite). 
La questione dei batteri marziani, come si vede, e' tutt'altro che risolta. Anche perche', proprio mentre Bradlley pubblicava le sue ricerche, McKay pubblicava alcune immagini in cui si osservano frammenti di una pellicola carboniosa all'interno di parecchi granuli di carbonati.E sulla Terra pellicole di questo tipo, denominate BIOFILM, sono secrezioni tipiche del metabolismo batterico.... 
 
Figura 20
Sinistra: sulla Terra alcuni microorganismi secernono sottili pellicole di polimeri chiamate biofilm che sono molto simili a file di pellicole trovate vicino ad alcuni globuli di carbonato in ALH84001. Queste strutture sembrano arrichite in carbonio quando confrontate con i materiali vicini.
Destra: questa trama è stata trovata in una superficie di frattura di un grano all'interno di ALH84001. Gli scienziati hanno trovato simili formazioni in parecchi diversi grani nel meteorite, alche se non sono una formazione comune nella roccia marziana.
Immagine più grande: 35 Kb
 


 
 


Torna alla Homepage

Webmaster: Lorenzo Comolli - Servizio di hosting fornito da
Copyright ©1996-2006 GAT Gruppo Astronomico Tradatese