CADUTO DAL CIELO
Di Piermario Ardizio

Il Meteor Crater è sicuramente una tra le strutture geologiche della terra più conosciuta dagli astrofili e dalla gente comune, la sua foto appare infatti su quasi tutti i libri e le enciclopedie, tuttavia pochi e incerti dati accompagnano queste illustrazioni. Questo articolo vuole appunto cercare di colmare questa lacuna utilizzando le informazioni che sono state collezionate direttamente sul luogo dell'impatto.


Il Meteor Crater Veduta aerea del cratere; in sovraimpressione con la linea continua vi è la probabile traiettoria di arrivo del meteorite (1), la linea tratteggiata indica il luogo dove si allenavano gli astronauti (2) e con il (3) si evidenziano gli affioramenti di arenaria di Coconino, lo strato più vecchio dell'altopiano, portato in superficie dall'impatto. Il (4) indica la posizione del museo.
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Vi sono luoghi della Terra che danno i brividi, che più di altri trasmettono nell'animo dell'uomo sensazioni non descrivibili a parole, perchè ci si trova davanti a quei fenomeni della natura che ne evidenziano la sua forza e contemporaneamente la nostra impotenza di fronte ad essi, costringendoci a riflettere sul nostro ruolo nel disegno universale; uno di questi è sicuramente il Meteor Crater nell'Arizona. Molti ricorderanno il film Starman dove questo cratere diventò un luogo di appuntamento per extraterrestri, ma più che la storia furono le riprese del cratere proiettate sullo schermo cinematografico a farmi sussultare; fu prorio ripensando a quelle immagini che quest'anno, trovandomi a Phoenix, decisi di visitare questo insolito luogo. Arrivare al cratere è facile,infatti una serie di cartelloni pubblicitari ne indicano la strada ancora prima di arrivare a Flagstaff, campo base ideale per una visita approfondita non solo del Meteor Crater, dato che nella zona si trovano oltre al Grand canyon, la Petrified Forest & Painted Desert, molti coni vulcanici estinti e non dimentichiamoci il Lowell Observatory, che è tra l'altro aperto al pubblico il venerdì e il sabato, quando è possibile osservare Luna e pianeti con il famoso telescopio da 24" di diametro.


Il Meteor Crater si trova in Arizona (USA) nella posizione indicata dalla freccia.
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Prima di proseguire due parole per ambientare il racconto: l'altopiano dell'Arizona del nord è una terra molto antica; centinaia di milioni di anni fa l'arenaria di Coconino si era depositata formando uno strato di parecchi metri di spessore, si formava così un deserto che nell'età Permiana veniva coperto dall'acqua di quello che i geologi chiamano il mare di Kaibab. Successivamente, nel periodo Triassico, le paludi residue venivano prosciugate da rivoli d'acqua che pian piano la riportavano al mare, mentre il deposito lasciato dal fondo marino (circa 250 milioni di anni fa) formava il calcare di Kaibab, questo veniva poi ricoperto dal terreno alluvionale delle epoche più recenti, che gli scarsi agenti dell'erosione modellavano, generando così l'altopiano dove noi camminiamo oggi per raggiungere il Meteor Crater.
Il tragitto da Phoenix a Flagstaff richiede circa due ore, comprendendo anche qualche fermata per ammirare la vegetazione tipica della regione; da Flagstaff il cratere non dista che mezz'ora d'auto in direzione ovest, sulla strada I40 che porta a Winslow. Su questa strada molti cartelli invitano i turisti a visitare l' "impatto col meteorite", l'ultimo di questi vi invita a girare a destra immettendovi su di una strada "stretta" che arriva fin sotto l'orlo del cratere. Per me, che era la prima volta che mi trovavo lì, fu difficile posizionarlo fino a quando, ormai vicino, i bianchi edifici che ospitano il museo, posto all'ingresso di questo scorcio sul passato del nostro pianeta, mi indicarono la sua posizione; parcheggiata la macchina, la salita al cratere risultò essere un pò fastidiosa per il Sole cocente del deserto, ma il tragitto fu così breve e l'emozione così forte da poter trascurare questi aspetti.
Entrati nel museo, vi si apre una finestra sul mondo dei meteoriti, con un'enorme esposizione a loro dedicata e due videoproiezioni che ricostruiscono la dinamica dell'evento; nel museo vi è anche una sezione dedicata alle missioni Apollo, che qui al cratere hanno trovato un luogo adeguato per i loro allenamenti. Dopo aver pagato i 6$ per l'ingresso, in pochi secondi vi trovate proiettati nel vuoto, la terra sotto i vostri piedi non c'è più, è stata rimossa 49.000 anni fa dall'impatto, siete sulla piattaforma posta sul bordo del cratere; vi lascio immaginare ora quali sensazioni possa suscitare trovarselo sotto ai prori occhi, un'immensa "scodella" ricavata nel terreno che copre completamente il vostro campo visivo, neanche con un 28mm, è possibile riprendere l'immagine del cratere intero, se volete immortalarlo non vi basta quindi una sola diapositiva (per la verità non bastano neanche 3 rullini), ma dovete riprendere il cratere su due diverse diapositive per averne la visione completa, tanto è enorme. Superato lo shock iniziale, il primo pensiero che mi occupò la mente mi riportò indietro nel tempo, ad immaginare quel potentissimo impatto, che sollevò una nube dall'apparenza di un fungo e scavò un lembo di terra in profondità per una larghezza di oltre 1.200m. Fu difficile credere che questa mostruosa depressione fosse stata creata in pochi secondi da un oggetto di circa 30m di diametro che nell'esplosione liberò un'energia equivalente a 20 Megaton, cioè 1000 volte quella della bomba che distrusse la città di Hiroshima. Certo sono fenomeni per noi difficili da immaginare, ma il forte vento che spira continuamente vi riporta rapidamente alla realtà. Proseguendo quindi il cammino sulla piattaforma si raggiungeva il punto più alto, da dove si vede l'immensità dell'altopiano circostante interrompersi solo ai vostri piedi dove iniziava il cratere; qui il vento è fortissimo, quasi avesse il compito di custodire gelesamente queste immagini da film di fantascienza; tuttavia un'altro rullino venne esaurito, talmente numerosi erano i particolari interessanti da immortalare: dal letto del lago asciutto, localizzato vicino al punto centrale dell'impatto, alle faglie del bordo, fino alle rocce affiorate in seguito all'esplosione, testimoni di passate epoche geologiche.
Il cratere, come abbiamo già accennato, si formò circa 49.500 anni fa; dal nord apparve una scia luminosa (dovuta al riscaldamento con gli strati bassi dell'atmosfera che rimosse molte tonnellate dalla sua massa), che avvicinandosi cresceva di intensità, a tal punto che arrivata vicino al suolo la sua luce rivaleggiava con quella del Sole, così un meteorite composto da nickel e ferro, pesante migliaia di tonnellate, arrivò a colpire con la velocità di 20Km/s il suolo. In conseguenza dell'urto, una luce accecante ed un suono assordante investirono l'altopiano e il meteorite si vaporizzò in pochi istanti, lasciando il posto ad un enorme fungo che si innalzò nell'atmosfera, all'intorno del quale ricaddero particelle di materiale meteoritico e frammenti di rocce precedentemente sollevate dalla violenta esplosione.
La vegetazione fu rasa al suolo per molti km, e nessuna creatura vivente, testimone dell'evento, sopravvisse per raccontarlo; i detriti volarono entro un raggio di 11Km dal luogo d'impatto, così quando la densa nube di polvere si ridepositò al suolo, una profonda cicatrice rimase nel terreno: un cratere profondo 174m, con una larghezza di 1265m dove, nel suo bordo di circa 5Km in circonferenza (se fosse un campo da calcio, vi potremmo accomodare circa due milioni di spettatori) si depositarono la maggior parte delle 175 milioni di tonnellate di rocce rimosse dal suolo nell'impatto, a seguito del quale alcuni strati rocciosi furono addirittura rivoltati su se stessi. Certo la ricostruzione è frutto della fantasia umana, ma non si dovrebbe discostare molto dal vero, in quanto questi fenomeni, fortunatamente non di tali proporzioni, sono abbastanza frequenti.
Prima di continuare il nostro viaggio, occupiamoci dell'asteroide, questa infatti si suppone essere l'origine del corpo celeste responsabile di quel cataclisma. Fino agli anni '50,alcuni la sua natura extraterrestre e altri, la maggioranza, la mettevano in discussione, ma vediamo questa storia dall'inizio, da quando cioè fu scoperto il cratere. Notizie dell'esistenza del cratere furono riportate già nel 1871, si pensò però ad un vulcano estinto (ci troviamo vicino all' area vulcanica di S.Francisco, con oltre 400vulcani). Nel 1886 fu ritrovato un pezzo di ferro (inizialmente scambiato per argento) ad ovest del cratere vicino al Canyon Djablo; fu analizzato all'università della Pennsylvania e la sua composizione risultò essere la seguente: 92% ferro - 7% nickel - 0,5% cobalto e la rimanenza conteneva tracce di altri elementi tra cui platino ed iridio in quantità commerciabili. Nel 1890 attorno al cratere furono ritrovati altri pezzi di ferro-nickel; questo suggerì che l'origine poteva essere meteoritica. Un geologo, G.K. Gilbert, si recò in loco nel 1891 per studiarne le caratteristiche e al termine di una breve ricerca ne confermò l'origine vulcanica (anche se le rocce vulcaniche più vicine si trovavano a 12Km), in quanto riscontrò (allora si ignorava la meccanica degli impatti cosmici ad alta velocità) che la quantità di materia che ne formava l'orlo era equivalente a quella che poteva contenere il cratere stesso; inoltre misure sul magnetismo non evidenziarono la presenza di cospicue masse di ferro; questo fu il più grosso errore della sua carriera: non perse solo l'occasione di far progredire la scienza e la conoscenza, ma negli anni seguenti anche parte del suo prestigio.
Nel 1902, Daniel Moreau Barringer, un ingegnere minerario di Philadelphia, convinto della natura meteoritica del cratere acquistò il terreno e formò una compagnia per studiarlo; nel 1903 iniziò a scavare solchi e pozzi alla ricerca di quello che doveva essere un giacimento minerario del valore di 500 milioni di $; tale doveva essere la massa residua dell'impatto, che secondo lui si trovava ancora sotto il cratere. Iniziarono così 25 anni di intenso lavoro che diedero grandi risultati scientifici, ma nessun minerale commerciabile. Dato che il cratere è rotondo fu naturale supporre che la massa del meteorite si trovasse sotto il centro, si iniziò così la ricerca da una collinetta di arenaria di Coconino che affiorava in quella posizione. Qui si ritrovarono pochi e piccoli frammenti del meteorite; proseguendo poi con le perforazioni iniziarono le prime difficoltà, dato che l'acqua sottostante, combinata con l'arenaria, formò uno strato difficile da perforare: essendo molto abrasivo, questo ostacolo impedì di raggiungere l'ipotetica massa sottostante. Più tardi il Dr. Barringer notò, tramite esperimenti condotti con proiettili da fucile, che un buco rotondo si poteva originare anche se il proiettile impattava con un certo angolo la superficie; dopo questa sperimentazione, trovandosi nel cratere notò che nel lato sud-est la stratificazione della roccia si innalzava di circa 30 metri sopra le pareti del cratere; questo particolare, abbinato al fatto che la maggior parte dei resti meteoritici era stato rinvenuto a nord- ovest, gli fece concludere che la massa era arrivata angolata rispetto al nord e doveva trovarsi sotto al bordo sud-est; in questa direzione è infatti visibile un incavo con una striscia di terra rossa, qui si iniziò a trivellare e ad una profondità di circa 300m si cominciò a trovare materiale in quantità, di provenienza extraterrestre; purtroppo, però, a 410m la trivella si grippò definitivamente, probabilmente incuneata tra detriti meteoritici. Il lavoro procedette malgrado le sempre crescenti difficoltà per anni, ma col passare del tempo iniziò anche la crisi del settore minerario, incominciarono così a mancare i fondi, e nel 1929 si dovette abbandonare definitivamente la ricerca; nel contempo, però, la maggior parte degli scienziati aveva accettato la teoria del meteorite. Quello stesso anno Barringer morì e per ricordare il suo intenso lavoro oggi il Meteor Crater è anche conosciuto come Barringer Crater; successivamente nel 1968 il ministero degli interni degli Stati Uniti designava l'area come parco naturale, mentre la proprietà del luogo tutt'ora resta alla sua famiglia che ne permette l'uso pubblico per consentire alla gente di visitare questo insolito ed affascinante luogo.


Panoramica del Meteor Crater visto dalla piattaforma posta all'uscita del museo. Si tratta di uno tra i più grandi crateri esplosivi da impatto, è stato il primo a essere identificato come tale, ed è sicuramente il meglio conservato.
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Dopo il 1929 altri due tentativi furono fatti per localizzare la massa principale del meteorite, ma le perforazioni furono bloccate da oggetti che non potevano essere ne perforati e neanche spostati. Bisogna attendere diversi anni per avere un quadro completo dell'evento, fino a quando il Dr E.Shoemaker, oggi membro della U.S. Geolocical Survey di Flagstaff, scrisse la sua tesi di laurea su questo cratere. Durante la sua ricerca scoprì incontrovertibili prove che chiarirono definitivamente la sua natura extraterrestre, rilevò una mappa geologica del Meteor Crater, lo studiò da un punto di vista della meccanica delle onde d'urto e fornì un modello dell'impatto stesso. Egli trovò internamente ed esternamente al bordo del cratere, un denso minerale cristallino chiamato Coesite. Questo silicio polimorfo, identificato insieme ad un altro minerale chiamato Stishovite, si può formare solo con pressioni e temperature conseguenti a impatti violenti. Shoemaker rilevò anche la distribuzione del materiale attorno al cratere (in particolare quello degli affioramenti superficiali dello strato rivoltato) e riuscì a determinare direzione, velocità e composizione del meteorite (in quanto era nota la composizione degli strati geologici rimossi nell'impatto); a seguito dei suoi studi, molti scienziati si convinsero sulla realtà degli impatti meteoritici come processi geologici. Oggi è possibile migliorare le misurazioni fatte nel passato utilizzando tecniche molto sofisticate per indagare le profondità del terreno; infatti per esaminare il sottosuolo si usano onde sonore ed elettriche, oppure si compiono studi sul campo gravitazionale o su quello magnetico; si può inoltre contare sull' uso dei sismografi. Utilizzando queste procedure, gli scienziati ora sanno con certezza che l'80% della massa si è vaporizzata nell'impatto, il 5% è stata lanciata lontano e solo il 10% della massa è rimasto sepolto sotto al cratere, mentre il residuo 5% è stato rimosso dall'ablazione durante l'attraversamento dell'atmosfera. Vediamo il fenomeno alla luce di questi ultimi studi che hanno permesso di delineare un quadro più preciso: utilizzando il sistema di datazione usato per le rocce lunari su di un grosso blocco roccioso, composto da calcare di kaibab, troppo massiccio per essersi mosso dopo che l'impatto lo aveva "portato" lì, i geologi hanno potuto datare l'evento partendo dal presupposto che questa roccia, quando era sotterrata, era protetta dall'effetto dei raggi cosmici. Trovandosi ora la roccia a cielo aperto, e conoscendo i cambiamenti indotti nelle rocce dalla azione dei raggi cosmici, è stato possibile stabilire per quanto tempo tale roccia è stata esposta al loro effetto; la roccia viene chiamata House Rock o anche Elephant Rock, è visibile dal sentiero che costeggia il bordo del cratere. Tali misure furono poi ripetute anche su campioni appartenenti ad una distesa di rocce frantumate che viene chiamata Whale Rock; i risultati ottenuti concordano nel datare l'evento a circa 49.000 anni fa (stime precedenti lo datavano tra i 20 e i 30 mila anni). Grazie a nuovi calcoli si è inoltre stabilito che nel bordo si trovano solo 127 milioni di t di materiale, cioè il 73% del volume del cratere e si pensa che la rimanenza sia stata vittima dei processi di erosione, soprattutto nello strato rivoltato, dato che è il più esterno; questo fissa a 175 milioni di tonnellate il materiale rimosso nell' impatto, contro i 300 milioni valutati precedentemente.


Nel disegno viene schematizzata la struttura del terreno del Meteor Crater: lo strato più basso e più vecchio, formatosi nell' età Permiana circa 260 milioni di anni fa, è composto da arenaria di Coconino, ha un colore grigio-biancastro ed è spesso circa 220m. Con uno spessore di circa 1,5m è il primo testimone della presenza in quest' area dell' oceano; quest' ultimo, 250 milioni di anni fa, lasciava un deposito color crema molto più consistente composto da calcare (fossili marini) e dolomite con uno spessore di circa 80m, chiamato calcare di Kaibab. L'ultimo strato è formato da arenaria di Moenkopi che risale al periodo Triassico, ha un colore rossiccio-marrone e nella parte superiore si trova anche un sottile strato di sedimenti sabbiosi. Il fondo del cratere è riempito con strati recenti di tipo alluvionale.
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Le conseguenze dell'impatto dipendono dalle caratteristiche del meteorite e del luogo dove colpisce il suolo; con velocità comprese tra i 350 e i 700 km/h si produce una cavità fino a 15.000 km/h si avrà la frantumazione del meteorite e del terreno. Naturalmente gli effetti cambiano a seconda della natura del terreno stesso (un impatto in un campo arato produce effetti diversi rispetto a uno in acqua o su roccia); con masse superiori alle 10t, che risultano poco frenate dall' attrito, la quantità d'energia è tale da produrre all'impatto un cratere, con istantanea disintegrazione della meteorite stessa. Tale fenomeno viene schematizzato nel grafico; il tempo trascorso da A a F è di pochi secondi.
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Questi studi recenti hanno modificato solo alcuni numeri, rendendone le stime più precise, rispetto ai precedenti studi di Shoemaker, il cui lavoro ha dato un "volto" al fenomeno che fu ipotizzato da Barringer, il primo a provare l'avvenuta collisione tra due corpi celesti. I loro nomi resteranno certamente nella storia della ricerca scientifica per dimostrare come la costanza abbinata a una seria ricerca, possa cambiare schemi e preconcetti della cultura stessa. Al di là delle incertezze che possono influenzare i dati relativi ad un evento accaduto su scala umana, così lontano nel tempo, questa ricerca è un esempio di come l'uomo, con l'uso della sua intelligenza, possa ricostruire la dinamica di fenomeni accaduti agli albori della civiltà; tali ricostruzioni si avvicineranno tanto più al vero quanto maggiore sarà la nostra perseveranza nell'osservare e nell'indagare questi spaventosi, ma nello stesso tempo affascinanti fenomeni celesti chiamati meteoriti. Essi rappresentano un forza distruttrice della natura, la stessa forza che usa la distruzione solo per rigenerare il vecchio con il nuovo, come testimoniano i piccoli ginepri e i cespugli che oggi popolano il deserto (notoriamente un luogo ostile alla vita), nati proprio dentro al cratere grazie al particolare microclima formatosi in seguito alla presenza di questa "nuova" struttura geologica.


LE TECTITI

Sparse a migliaia su aree vastissime, con dimensioni di pochi centimetri e forme molto varie, le tectiti si presentano con colorazioni che variano dal bruno quasi nero al giallastro, al verde oliva. Sono composte per l' 80% da silice e il processo che le ha originate è quello della fusione. L'unico problema è capire come e dove questo processo sia avvenuto. Infatti, questi ritrovamenti, non si trovano associati né a strutture vulcaniche né a crateri meteoritici, avvengono su vaste aree del pianeta e su qualsiasi tipo di terreno. Ricavando l'età col metodo delle sostanze radioattive, si è visto che si tratta di oggetti di recente formazione; questo ha portato gli studiosi ad escludere le ipotesi che le vedevano provenire dagli spazi siderali come sopravvisuti di immani scontri spaziali, o da impatti come quello che sulla Luna generò il cratere Tycho, oppure testimoni di passate eruzioni vulcaniche lunari. Però, l'analisi delle rocce lunari portate a terra dagli astronauti delle missioni Apollo ha evidenziato come non sia possibile ottenere da tali rocce, per fusione e vetrificazione,le tectiti. L'ipotesi più attendibile sulla loro origine (F. King) le vede prodotte dall'impatto di grossi meteoriti con la Terra, anche se resta da spiegare il bassissimo contenuto d'acqua; tuttavia, se questa ipotesi è reale, significa che negli ultimi 35 milioni di anni quattro grandi corpi sono venuti in collisione con il nostro pianeta, originando le quattro grandi aree dove si trovano i giacimenti; a questo punto, però, al contrario del Meteor Crater in Arizona, bisogna trovare i crateri originati dagli impatti.


LE METEORITI

Anche se l'argomento è noto, vale la pena richiamare brevemente al lettore la fenomenologia delle meteoriti. Queste costituiscono gli unici campioni disponibili (oltre naturalmente ai reperti riportati a Terra dalle missioni Apollo) per ricerche sull' età del sistema solare, sulla formazione di particolari minerali e sull' effetto dei raggi cosmici. Diventano luminose a 150Km di altezza, quando incontrano gli strati alti dell'atmosfera; qui l'attrito con l'aria asporta una parte considerevole della loro massa, che andrà ad alimentare la scia che segnerà in cielo il loro passaggio; spesso si vaporizzano prima di toccare terra ed allora parliamo di meteore, a volte però raggiungono il suolo; avremo allora le meteoriti che nell' impatto generano una struttura la cui natura dipende da vari fattori, tra cui l'angolo di arrivo sulla superficie, la velocità, la massa e la conformazione del terreno.
La velocità di arrivo di un meteorite può essere pari o inferiore a 42Km/s (velocità di fuga dal sistema solare); dato che la velocità della terra è di 30Km/s, si deduce che le velocità di ingresso in atmosfera può variare tra 12Km/s e 72Km/s; se la sua massa è piccola verrà rapidamente frenato, se supera le 10t manterrà parte della sua velocità cosmica.
Vediamo meglio come la velocità influenza il risultato dell'impatto: se è di 100-200m/s (massa<1t) si forma una cavità di dimensioni poco superiori a quella del meteorite; con velocità da 3 a 5Km/s (peso>1t) si genera una struttura di diametro superiore a quello del meteorite, che si frantumerà insieme al terreno ed i frammenti si disperderanno all' intorno del cratere.
Se, invece, è maggiore di 5-6Km/s (peso>10t) l'energia cinetica è tale che nell'impatto il meteorite esplode; si forma allora un cratere esplosivo, che a differenza di quello d'urto non ne contiene mai i frammenti.
Durante il volo nell'atmosfera la superficie frontale del meteorite, raggiunge la temperatura più elevata, ma poichè l'ablasione (cioè il processo di vaporizzazione e di asportazione meccanica della superficie) interessa una crosta superficiale di circa 1cm di spessore, la forte differenza di pressione e temperatura tra fronte e retro può causarne l'esplosione in volo, con i frammenti che si disperdono su di un'area ellittica detta ellisse di dispersione; parleremo allora di bolide. Una volta raggiunto il suolo, le possibilità di ritrovare un meteorite sono legate a vari fattori: la natura e praticabilità del terreno dove cade, la densità della popolazione e il livello culturale degli abitanti (nei popoli primitivi tali fenomeni suscitavano paura e superstizioni).
Prima di concludere occorre spendere due parole sulla frequenza di questi eventi: da semplici si deduce che un asteroide con dimensione di circa 1Km urta la Terra ogni milione di anni; se portiamo le dimensioni a circa 50 metri si ha un impatto ogni 1000 anni circa, siamo vicini in questo caso alle dimensioni del meteorite responsabile del cratere in Arizona, conosciuto anche come Barringer Meteor Crater; questo in ricordo di D.M.Barringer a cui si deve il merito di essere stato il primo a dimostrare l'avvenuta collisione di un corpo extraterrestre con il nostro pianeta.



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